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Lavoro

Un 2023 con tanta disoccupazione

Nel nuovo anno il numero di chi è senza occupazione appare destinato a crescere: 2.400 inoccupati in più in Veneto.

Un 2023 con tanta disoccupazione

CHIOGGIA - 63mila disoccupati in più nel 2023 in Italia, in Veneto saranno quasi 2.400 in più (più 2,3%), mentre in provincia di Venezia il dato resterà sostanzialmente stabile.

Sono i numeri diffusi dall’analisi della Cgia di Mestre. Per il 2023 le stime per il mondo del lavoro polesano dicono che sono previsti più o meno lo stesso numero di disoccupati del 2022, ossia 7.787 rispetto ai 7.780 del 2022 (Incremento dello 0,1%). Per incremento percentuale il Polesine è al 77esimo posto d’Italia, incremento minore di disoccupati solo a Venezia.

Per l’anno prossimo, quindi, anche in Veneto le previsioni economiche non sono particolarmente rosee. Rispetto al 2022, la crescita del Pil e dei consumi delle famiglie è destinata ad azzerarsi, ciò contribuirà a incrementare il numero dei disoccupati, almeno di 2.400 mila unità. Per la Cgia di Mestre si tratta di un dato negativo, ma non drammatico, soprattutto se comparato con quanto succederà in molte regioni del Centro-Sud, dove l’incremento sarà veramente preoccupante. In Veneto il numero assoluto dei senza lavoro salirà a quota 107.400, mentre il tasso di disoccupazione rimarrà lo stesso dell’anno in corso: ovvero il 4,7 per cento, contro una media nazionale dell’8,4%. Un dato, il nostro, in linea con le migliori performance registrate dalle regioni più avanzate in Ue. A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia che ha elaborato i dati Istat e le previsioni Prometeia.

A livello territoriale le province venete più interessate dall’aumento della disoccupazione saranno Treviso (+827 unità, pari al +4,2 per cento rispetto al 2022), Padova (+624 persone pari al +3 per cento) e Vicenza (+595 unità pari al +3,5 per cento). Belluno, sebbene dovrebbe contare “solo” 190 disoccupati in più, l’incremento percentuale sarà però del 5 per cento. Rovigo e Venezia, infine, non subiranno variazioni significative.

Sebbene non sia per nulla facile stabilire in questo momento i settori che nel 2023 saranno maggiormente interessati dalle riduzioni lavorative, pare comunque di capire che i comparti manifatturieri, specie quelli energivori e più legati alla domanda interna, potrebbero subire dei contraccolpi occupazionali, mentre le imprese più attive nei mercati globali tra cui quelle che operano nella metalmeccanica, nei macchinari, nell’alimentare-bevande e nell’alta moda saranno meno esposte. Non solo, stando al sentiment di molti esperti e di altrettanti imprenditori veneti, i trasporti, la filiera automobilistica e l’edilizia, quest’ultima penalizzata dalla modifica legislativa relativa al superbonus, potrebbero registrare le perdite di posti di lavoro più significative nel Veneto.

Anche in Veneto i lavoratori autonomi rischiano di subire le “perdite” maggiori. La crisi pandemica e quella energetica, infatti, ha colpito soprattutto le partite Iva che, a differenza dei lavoratori subordinati, sono sicuramente più fragili. Questi ultimi, infatti, hanno pochissime tutele: rispetto ai dipendenti, ad esempio, non dispongono di malattia, ferie, permessi, Tfr e tredicesime e quattordicesime. In caso di difficoltà momentanea non hanno né cassaintegrazione né, in caso di chiusura dell’attività, alcuna forma di Naspi. Inoltre, come ricorda sempre l’Istat, il rischio povertà nelle famiglie dove il reddito principale è riconducibile a un autonomo è superiore a quelle dei dipendenti.

La chiusura di tantissime piccole attività economiche è riscontrabile anche a occhio nudo; basta girare a piedi per accorgersi che sono sempre più numerosi i negozi e le botteghe con le saracinesche abbassate 24 ore su 24. Il rischio di mettere a repentaglio la coesione sociale anche del Veneto è molto forte. Le chiusure stanno interessando sia i centri storici sia le periferie delle nostre città, gettando nell’abbandono interi isolati, provocando un senso di vuoto e un pericoloso peggioramento della qualità della vita per chi abita in queste realtà.

Meno visibile, ma altrettanto preoccupante, sono le chiusure che hanno interessato anche i liberi professionisti, gli avvocati, i commercialisti e i consulenti che svolgevano la propria attività in uffici/studi ubicati all’interno di un condominio. Insomma, le città stanno cambiando volto: con meno negozi e uffici sono meno frequentate, più insicure e con livelli di degrado in aumento. La moria di attività sta colpendo anche coloro che storicamente sono sempre stati in concorrenza con i negozi di vicinato; ovvero i centri commerciali. Anche la grande distribuzione organizzata è in difficoltà e non sono poche le aree commerciali al chiuso che presentano intere sezioni dell’immobile precluse al pubblico, perché le attività presenti precedentemente hanno abbassato definitivamente le saracinesche.

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