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ARTE
30.06.2025 - 23:15
Sabato 28 giugno, l’Arena di Verona ha accolto un “Nabucco” di Giuseppe Verdi che resterà scolpito nella memoria del pubblico per la sua forza scenica, la coerenza estetica e la capacità di emozionare. La regia, le scene, i costumi e le luci portano la firma di Stefano Poda, uno degli artisti visivi e registi più visionari della scena operistica contemporanea, che ha saputo coniugare tradizione e modernità in uno spettacolo che ha convinto e coinvolto. Chi si attendeva un “Nabucco” tradizionale si sarà trovato davanti a un’opera diversa, fortemente contemporanea, ma perfettamente adatta allo spazio maestoso dell’Arena, dove nel 1913 il grande direttore Tullio Serafin ha dato quel principale “ok” per la realizzazione di opere liriche in uno spazio inconsueto. Poda insieme al suo raffinato assistente Paolo Giani Cei, ha costruito uno spettacolo all’insegna del simbolismo e della luce, con l’uso sapiente di mimi e comparse che hanno animato ogni angolo del palcoscenico e della gradinata retrostante. Non c’è stato un solo momento di stasi: tutto è fluito con equilibrio tra movimenti, colori, luci e suono. Il celebre “effetto wow” che spesso contraddistingue le grandi produzioni areniane è stato pienamente raggiunto, ma con mezzi nuovi, raffinati e poetici, resi unici da movimenti ben coordinati come ad esempio il duello attraverso la raffinatezza della scherma e, non per ultimo, da colori ed effetti sorprendenti come l’esplosione (ben annunciata) del secondo atto. Uno spettacolo totale, in cui l’arte della regia ha saputo dialogare con quella musicale, in un’arena gremita di persone. L’opera, come ogni forma d’arte viva, si trasforma nel tempo. Ed è proprio in questo mutare che bisogna saper leggere nuove chiavi, nuove forme di emozione. La lezione arriva forte da uno come Stefano Poda, capace di offrire una lettura densa di significato: le due semisfere che si uniscono a rappresentare il ricongiungimento dell’atomo scisso dalla mente umana, ma anche la scritta “Vanitas” ben visibile nella sommità della cavea che evoca l’affannarsi umano sotto le stelle. Non si può non ricordare, di fronte a una regia così potente e a un’interpretazione musicale di livello, che fu proprio Tullio Serafin a dare avvio alla grande tradizione dell’opera all’Arena di Verona nel 1913.
A. Cast.
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