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ULSS 3 SERENISSIMA

Ventimila chiamate al Cup dal carcere

Assunti lo scorso novembre, ora hanno un ufficio più grande, gestiscono 300 telefonate al giorno, da tre si sono diventati nove

Ventimila chiamate al Cup dal carcere

VENEZIA - Assunti lo scorso novembre, ora hanno un ufficio più grande, gestiscono 300 telefonate al giorno, da tre sono diventati nove e uno di loro è stato promosso oltre le sbarre, ritrovandosi con la stessa mansione all'ospedale dell'Angelo di Mestre.

Il gruppo di telefonisti detenuti nel carcere maschile veneziano di Santa Maria Maggiore è diventato fiore all'occhiello dell'intero sistema di prenotazioni Cup dell'azienda sanitaria veneziana: 20 mila telefonate dall'esordio, diventate ora 5.500 al mese e 300 al giorno, gestite in due turni giornalieri di quattro ore ciascuno. Gli impiegati stati selezionati tra i circa 270 ospiti della struttura. Sono tutti italiani, tra i 25 e i 45 anni. Molti di loro sono laureati e con elevate competenze informatiche utili a svolgere la loro mansione, avendo a che fare quotidianamente con agende di prenotazioni elettroniche. Tutti, via via, vengono inquadrati a tempo indeterminato.

A Novembre la Casa circondariale di Santa Maria Maggiore aveva individuato un locale al suo interno, poi l'Ulss 3 Serenissima, assieme al consorzio che ha in gestione il servizio di prenotazione, lo ha attrezzato e reso operativo, trasformandolo in una vera piccola sede distaccata del Cup: rete interna aziendale, linea, macchinari, computer, software e agende per gli appuntamenti. Ora i nove si trasferiscono in un ufficio ancora più grande, sempre all'interno del carcere, eccetto uno, già promosso all'ufficio Cup dell'ospedale di Mestre.

"Per noi relazionarci con il mondo fuori è motivo di entusiasmo, e quando poi, soprattutto con gli utenti anziani, riusciamo a rispondere alle loro richieste d'aiuto, diventa gioia vera - dice uno di loro -. Questo lavoro ci ricollega alla società, e la gratificazione che abbiamo dagli utenti stessi ci esorta non solo a fare sempre meglio il nostro lavoro, ma anche a vivere meglio il carcere. Quando finiamo il turno abbiamo in noi il senso di aver fatto bene il nostro lavoro e l'entusiasmo di essere impegnati in qualcosa di utile anche il giorno dopo".

"Da quando abbiamo questo lavoro andiamo a letto prima alla sera per essere più concentrati nell'attività, e abbiamo la voglia di portare il sano anche nel resto delle ore che trascorriamo qui - dice un secondo -. Non viviamo più, la vita carceraria, alla giornata: abbiamo uno scopo. Quando lavoriamo ci sembra di essere fuori dal carcere, di avere una possibilità di riscatto che non possiamo perdere".

"Il nostro responsabile, con la sua umanità e la sua capacità di relazionarsi a noi, senza pregiudizio, ha contribuito a creare un contesto che invoglia a lavorare e che ci fa essere pronti e aperti ad eventuali surplus di lavoro - dice un terzo -. Non ci spaventa lavorare di più, ci spaventa non avere un obiettivo".

"La sanità ha la funzione importante di curare, ma curare significa prendere per mano la persona - spiega il direttore generale dell'Ulss 3 Serenissima Edgardo Contato -. Salute è stato di benessere fisico, psichico e anche sociale. E in questo la detenzione non deve essere esclusione, ma tentativo di riallinearsi con il mondo che è pronto ad accogliere fuori. Deve essere momento di crescita. Il Cup diventa una finestra del carcere che si apre verso l'esterno. È un contatto con l'esterno in una fase di riappacificazione con la comunità. E la finestra ora è spalancata anche per noi, perché questa è una sperimentazione che funziona sia in termini economici che sociali".

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