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VENETO

Il granchio blu minaccia le moeche

L'’emergenza colpisce la tradizione e l’economia della costa veneta

Il granchio blu minaccia le moeche

VENEZIA - Le moeche venete, prelibatezza unica frutto della muta del granchio comune Carcinus aestuarii, rischiano di scomparire. A minacciarle è il granchio blu, predatore alieno che sta devastando l’ecosistema lagunare dell’Alto Adriatico e, con esso, l’economia legata alla pesca e alla molluschicoltura. Questo crostaceo, vorace e resistente, non si limita a divorare vongole e mitili, ma aggredisce anche il granchio autoctono da cui si ricavano le celebri moleche, mettendo in pericolo un’antica arte peschereccia e un prodotto che da secoli arricchisce le tavole dei ristoranti del Veneto.

La portata del disastro è già tangibile. Nelle Sacche di Scardovari e Goro, due delle principali aree di allevamento di vongole filippine, il granchio blu ha colpito duramente. Il Consorzio Cooperative Pescatori del Polesine ha registrato un crollo drastico nel numero di soci: dai 1.500 del 2023 si è scesi a 1.083 nel 2024, con una stima di appena 750 aziende operative entro la fine del 2025. Il dato allarma anche per il riflesso sull’occupazione: molte imprese, spesso di piccole o piccolissime dimensioni, hanno gettato la spugna davanti all’assenza di soluzioni concrete e all’azzeramento del seme nel 2024, senza il quale la produzione – e dunque il reddito – è destinata a crollare anche nei prossimi anni.

Nel 2023, quando il granchio blu era ancora una presenza limitata, il settore aveva fatto registrare un aumento del 4,5% nel numero di imprese e del 7,2% degli addetti. Ma l’anno successivo la situazione è precipitata: le aziende sono diminuite del 14,9% e gli occupati del 13,7%, certificando la portata di una crisi che ha assunto le dimensioni di una vera e propria calamità permanente. In meno di due anni, la produzione della venericoltura è stata praticamente annientata non solo nelle lagune del rodigino, ma anche nella ferrarese Sacca di Goro. E non è stata risparmiata nemmeno la mitilicoltura, che ha subito pesanti danni.

Di fronte a un’emergenza senza precedenti, appare ormai indispensabile rafforzare le attività di cattura del granchio blu e, allo stesso tempo, trasformare il problema in opportunità economica. Il crostaceo è infatti molto apprezzato all’estero per la preparazione industriale di sughi, polpa e chele fritte. Proprio per questo, si guarda con interesse alla possibilità di creare una filiera parallela anche in Italia, dove da anni si importano ingenti quantitativi di polpa di granchio, spesso della stessa specie Callinectes sapidus, utilizzata in cucina soprattutto in forma surgelata. Affiancare alla vendita del prodotto fresco canali per lo smaltimento dei volumi in eccesso o dei granchi sotto taglia potrebbe fornire nuove fonti di reddito per le aziende ittiche, oggi in difficoltà.

Lo stesso vale per le moeche, che rischiano l’estinzione sotto l’attacco diretto del granchio blu. L’idea di avviare una produzione parallela di moleche ottenute dallo stesso granchio invasore – più grandi rispetto a quelle tradizionali – prende piede come possibile salvagente per i moecanti e per evitare la scomparsa di una prelibatezza simbolo della cucina veneta. In altri Paesi, queste moleche “alternative” sono già in commercio, quasi sempre surgelate.

Un modello viene dalla Romagna, dove la start-up riminese Mariscadoras ha avviato nel 2021 il progetto “BluEat” per promuovere il granchio blu come prodotto alimentare e creare una filiera che dal pescatore conduca il crostaceo lavorato fino agli scaffali della grande distribuzione. L’iniziativa ha puntato anche sull’educazione del consumatore, attraverso eventi e ricette, e oggi rappresenta un esempio di come trasformare l’invasione in una risorsa.

Anche sul fronte istituzionale si moltiplicano le iniziative. Il “Blu Crab Action Plan” coinvolge la Regione Veneto, gli atenei di Venezia, Padova e Ferrara, Veneto Agricoltura e le associazioni di produttori, con il sostegno diretto degli operatori della pesca. Le attività sono finanziate con fondi ministeriali del Programma Nazionale Feampa 2021-2027, destinati proprio alla risposta a crisi come quella in atto.

Ma il vero nodo da sciogliere resta la gestione degli scarti. La polpa del granchio rappresenta solo il 20% del peso totale, lasciando un ingombrante 80% inutilizzato. Per affrontare questo aspetto è nato il progetto “Life Blu Crab”, che mira a sviluppare una catena produttiva per la trasformazione del residuo del crostaceo in una bioplastica compostabile e biodegradabile, ideale per l’imballaggio alimentare. Il chitosano contenuto nelle carcasse, infatti, può diventare la base per una plastica sostenibile, recuperando valore da ciò che finora veniva trattato come rifiuto.

In quest’ottica di economia circolare si inserisce anche “RIPesca”, progetto sperimentale supportato dalle Università di Milano e Padova. Presso lo stabilimento del Consorzio di Scardovari è in fase di test un nuovo macchinario, studiato per lavorare i granchi non commerciabili e trasformarli integralmente in farine destinate all’industria del pet food, oppure per ricavarne componenti e integratori alimentari per l’uomo a partire dal carapace.

Il granchio blu, dunque, si conferma come una minaccia concreta ma anche una sfida tecnologica ed economica. Convertire l’emergenza in opportunità è oggi l’unica strada percorribile per salvare la pesca, la biodiversità e le tradizioni dell’Alto Adriatico.

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