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"Marmottone" in montagna, tra arte e polemica

Il Cai difende le sculture in plastica riciclata

"Marmottone" in montagna, tra arte e polemica

VENEZIA - In cima ai monti, tra rifugi e sentieri d’alta quota, spuntano marmotte. Ma non quelle vere, che fischiano tra i sassi: sono alte 1 metro e 25, dai colori accesi, fatte di plastica rigenerata e sistemate accanto ai rifugi. L’arte invade le Alpi con il progetto "Soul of the Mountain", e con essa arriva anche la polemica: "No alla plastica sui monti!", gridano alcuni. Ma il Cai Biella ribatte: «Queste opere sono un messaggio di speranza, non un rifiuto abbandonato».

Sono 23 le coloratissime marmotte realizzate dal collettivo Cracking Art, in collaborazione con il Museo di Scienze Naturali della Valle d’Aosta. Installate nei pressi dei rifugi Coda e Rivetti (Biellese), Vittorio Sella e Quintino Sella (Valle d’Aosta), si inseriscono in una riflessione più ampia sull’uomo, la natura e il cambiamento climatico.

«Non vogliamo replicare la natura – spiegano da Cracking Art – ma creare un bestario fantastico, un linguaggio visivo contemporaneo che emozioni e generi empatia».

Alcuni escursionisti e ambientalisti hanno storto il naso: portare installazioni di plastica sui monti sarebbe una forma di inquinamento, un modo per snaturare l’ambiente. Il presidente del Cai Biella, Andrea Formagnana, risponde netto: «C'è chi ha parlato di rifiuti in quota. Ma le marmotte sono realizzate in plastica rigenerata, collocate in aree già antropizzate come i pressi dei rifugi, e inserite in un ciclo di economia circolare: quando si deteriorano vengono rifuse e danno vita ad altre opere. Nulla viene abbandonato o sprecato».


L’idea è nata dopo un evento eccezionale: il ritrovamento, nel 2024, di una marmotta conservata da 6.000 anni nel ghiacciaio del Lyskamm. «Mi è sembrata una viaggiatrice del tempo, un messaggio dal passato per ricordarci l’urgenza della crisi climatica», racconta Formagnana.

Da qui il collegamento con la leggenda ladina del Regno di Fanes, dove le marmotte erano alleate del popolo, simbolo di umiltà e comunità. «Quando l’alleanza fu spezzata, la rovina arrivò. Ma furono proprio le marmotte a salvare i superstiti. Una metafora potente della nostra alleanza con la natura da ricostruire».

«La plastica non va demonizzata», continua il presidente del Cai. «Molti indumenti tecnici da montagna rilasciano microplastiche, ma nessuno ne parla. Le marmotte della Cracking Art nascono per riflettere sul paradosso della plastica: prendere ciò che inquina e trasformarlo in bellezza, stimolo, provocazione».

Formagnana rilancia una visione consapevole del rapporto con l’ambiente alpino: «La vera wilderness esiste solo oltre i ghiacciai. Pascoli, boschi, sentieri sono frutto di secoli di cura e presenza umana. Oggi più che mai, l’equilibrio della montagna dipende anche dall’uomo».

Le marmottone, per lui, sono anche un modo per stimolare responsabilità collettiva. «La marmotta esce dal letargo in primavera: è simbolo di rinascita. Vive in gruppo: insegna il valore della comunità. E la figura della ‘sentinella’, quella che veglia sul branco, è un’immagine di chi protegge la montagna. Vorremmo che tutti ci sentissimo così».

Accanto al busto di Quintino Sella, fondatore del Cai, è stata posizionata una delle marmotte. «Sella immaginava un futuro fatto di scienza e cultura. Crediamo che anche l’arte possa aiutare a costruire quel futuro. Magari a partire da una marmotta colorata».

Le opere sono state concesse gratuitamente da Cracking Art. «Non salverà il mondo una marmotta – conclude Formagnana – ma può ricordarci che è ora di cambiare passo».

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