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Veneto
06.08.2025 - 16:56
VENEZIA - Alla Mostra del Cinema di Venezia arriva il ritratto potente e struggente di una delle figure più leggendarie del teatro italiano. Si intitola Duse il nuovo film firmato da Pietro Marcello, che sceglie di raccontare l’ultimo tratto di vita di Eleonora Duse, l’attrice che ha rivoluzionato la scena teatrale europea, trasformandosi in simbolo di libertà, ribellione e fragilità. Nei panni della "divina", come la chiamavano i suoi contemporanei, c’è Valeria Bruni Tedeschi, mentre Noémie Merlant interpreta la figlia Enrichetta in un'opera che si preannuncia intensa e visivamente evocativa.
Marcello non si limita a un biopic tradizionale. Il suo è un viaggio esistenziale e artistico, costruito intorno a una donna che non fu solo attrice, ma intellettuale, femminista ante litteram, amante e madre, capace di sfidare i codici morali e sociali della sua epoca. Siamo nel 1881 quando, al Teatro Goldoni di Venezia, Eleonora interpreta La principessa di Bagdad di Alexandre Dumas figlio. È un momento chiave: la Duse trasforma quella pièce borghese in una critica radicale all’ipocrisia del suo tempo, denunciando con il solo potere della parola scenica l’oppressione della donna, la violenza simbolica del denaro, la rigidità della famiglia, la mercificazione del sesso. Quel gesto, teatrale e politico insieme, la consegna alla storia.
Il film sceglie Venezia non solo come location, ma come anima visiva e sentimentale della narrazione. La città lagunare fu rifugio e specchio per Eleonora, che vi trascorse lunghi periodi, attratta dalla sua dimensione sospesa e dallo spirito artistico che l’attraversava. Il Casin dei Spiriti, il Palazzo Contarini Del Zaffo, e soprattutto l’archivio conservato presso la Fondazione Giorgio Cini, raccontano il legame profondo tra la diva e una città che, oggi come allora, è teatro naturale del genio e della malinconia.
L’esistenza della Duse, come il film racconta, fu segnata anche da passioni tormentate. Celebre la relazione con Gabriele D’Annunzio, che durò nove anni e lasciò tracce profonde nella vita di entrambi. Ma fu anche il poeta Rainer Maria Rilke a cadere nella rete del suo fascino doloroso, affascinato da quella che definiva "la tristezza più grande che abbia mai visto in un volto". Eppure, nonostante gli amori, Eleonora rimase una figura profondamente solitaria, divorata da un senso quasi sacro dell’arte.
Negli anni del dopoguerra, provata dalla salute e dalle difficoltà economiche, tentò un ultimo ritorno sulle scene, fondando una nuova compagnia e partendo per una tournée negli Stati Uniti. Non fece in tempo a completarla. Colpita dalla tubercolosi, morì a Pittsburgh nel 1924, sola in una stanza d’albergo. Il suo corpo fu riportato in Italia, ad Asolo, dove aveva scelto di essere sepolta.
Duse è il racconto di un’esistenza estrema, consumata tra palcoscenico e abissi interiori. Ma è anche un tributo alla forza visionaria di una donna che ha saputo vivere e cadere senza mai rinunciare alla propria idea di verità. A un secolo dalla sua morte, Eleonora Duse torna a parlare, sul grande schermo e nella memoria di un Paese che forse, solo oggi, può davvero comprenderla.
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