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Veneto
11.08.2025 - 16:59
VENEZIA - Le spiagge italiane dovevano diventare il terreno della concorrenza e degli investimenti, ma la grande corsa alle gare è rimasta sulla carta. A un anno dalla riforma Meloni–Fitto, il dossier concessioni balneari è impantanato tra proroghe, pareri giuridici contrastanti, bandi ancora rari e un braccio di ferro con Bruxelles sugli indennizzi che può costare caro all’Italia. Nel frattempo, i sindaci temporeggiano, i gestori protestano per una stagione fiacca e i cittadini guardano con crescente attenzione a canoni irrisori e buchi di trasparenza.
La legge approvata in Consiglio dei ministri a settembre e convertita a novembre ha puntato a chiudere una procedura d’infrazione europea vecchia di anni e a “mettere a gara” le concessioni entro scadenze certe. Due i pilastri: - proroga della validità fino al 30 settembre 2027, con facoltà per i Comuni di avviare subito le gare; - gare da concludere entro il 30 giugno 2027, con durata delle nuove concessioni tra 5 e 20 anni; possibile slittamento al 31 marzo 2028 in caso di contenziosi o ostacoli oggettivi. Quel calendario, costruito per evitare traumi, si scontra però con i pronunciamenti della Corte di giustizia Ue e del Consiglio di Stato che hanno fissato la scadenza inderogabile al 31 dicembre 2023, vietando ogni rinnovo automatico. Le precedenti proroghe (al 2020 e poi al 2033) sono state disapplicate dai tribunali. Per attenuare il rischio di nuovo stop in sede giurisdizionale, il governo ha scelto una “facoltà discrezionale” lasciata ai Comuni: scelta che espone sindaci e dirigenti a decisioni ad alto rischio legale.
Il punto più contestato è la compensazione per gli operatori uscenti. La bozza del decreto attuativo ha optato per indennizzi calcolati sugli investimenti non ammortizzati degli ultimi cinque anni, più un’“equa remunerazione” su tutti gli investimenti da definire con decreto ministeriale. Ma la Commissione europea, con una lettera del 17 luglio, ha bocciato l’impianto: il diritto Ue non consente compensazioni agli uscenti, tanto meno a carico dei subentranti, e la “remunerazione” finirebbe comunque per ristorare il valore aziendale, in contrasto con le indicazioni già date. Anche il Consiglio di Stato, in un parere firmato dal presidente della sezione consultiva Luciano Barra Caracciolo, ha evidenziato l’incompatibilità con la direttiva servizi (Bolkestein), prospettando la disapplicazione immediata in sede amministrativa. Inoltre, il meccanismo delle indennità rischia di distorcere la concorrenza: costi extra che scoraggiano nuovi entranti e favoriscono i soggetti più capitalizzati, penalizzando i piccoli operatori.
Con la linea europea immutata, la chiusura della procedura d’infrazione resta lontana. Senza correzioni al decreto indennizzi e con gare al rallentatore, lo scenario di una condanna con multa Ue da decine di milioni di euro rimane altamente probabile.
Secondo un censimento informale dell’Anci, a maggio 2025 erano solo 26 i Comuni che avevano avviato le procedure: - Veneto: Chioggia - Emilia-Romagna: Ravenna, Cervia, Misano Adriatico - Liguria: Imperia, Chiavari, Lavagna - Toscana: Camaiore, Forte dei Marmi, Pietrasanta, Viareggio, Carrara, Grosseto - Abruzzo: Pescara, Fossacesia, Vasto - Lazio: Fiumicino, Formia, Gaeta, Roma - Campania: Camerota, Minori, Sapri, Pontecagnano Faiano - Puglia: Ginosa
A Napoli l’Autorità di sistema portuale del Mar Tirreno Centrale aveva deliberato una proroga, poi annullata dal Tar. A inizio agosto sono quindi usciti i bandi per tre lotti di arenile a Posillipo. A Roma le 31 concessioni di Ostia hanno attirato 99 offerte, cui si sommano 54 candidature per le spiagge libere con servizi. La gara, sospesa dal Tar Lazio, è ripartita grazie al Consiglio di Stato che ha capovolto lo stop. Per tre lotti di spiagge libere non sono arrivate manifestazioni di interesse. Il Campidoglio puntava ad assegnare prima dell’estate, ma i tempi si sono allungati.
La responsabilità operativa ricade sugli enti locali, che restano prudenti fino all’immobilismo. L’Autorità garante della concorrenza aveva già impugnato davanti al Tar le “proroghe tecniche” al 31 dicembre 2024 previste dalla legge Draghi in caso di difficoltà oggettive; non è escluso un approccio analogo contro estensioni spinte al 2027. In questo quadro, il tasso di rischio per chi firma i bandi resta elevato.
Il centrodestra, che per anni aveva promesso di “respingere la Bolkestein” e storicamente conta sui balneari come bacino elettorale, oggi deve bilanciare fedeltà alla base e rispetto delle regole europee. Le scelte adottate hanno scontentato la categoria, che denuncia una stagione turistica fiacca e chiede protezione dai “tecnocrati di Bruxelles”. Ma sul fronte della messa a gara il dado è tratto e lo spazio di manovra sugli indennizzi è strettissimo.
Nell’opinione pubblica il sostegno ai concessionari non appare robusto: pesano la consapevolezza dei canoni bassissimi versati anche dagli stabilimenti più noti e le ombre sul rapporto con il fisco. Dalle dichiarazioni dei redditi risulta che il 58% delle persone fisiche e società concessionarie dichiara appena 18 mila euro l’anno: un dato che alimenta la richiesta di trasparenza e bandi competitivi.
Cosa aspettarsi ora?
La partita delle spiagge, nata per mettere fine a vent’anni di eccezioni e proroghe, rischia di rivelarsi un test di credibilità istituzionale: su quanto l’Italia riesca a coniugare concorrenza, tutela degli investimenti e rispetto delle regole. Il tempo, però, corre verso il 2027.
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