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L'artigianato veneto è in crisi

Persi quasi 44.500 addetti in 10 anni

L'artigianato veneto è in crisi

VENEZIA -  Negli ultimi dieci anni il numero degli artigiani presenti in Veneto ha subito un crollo verticale di quasi 44.500 unità. Se nel 2014 erano 186.398, l’anno scorso la platea è scesa a 141.958 (-24%). Questo significa che, in due lustri, quasi un artigiano veneto su quattro ha abbandonato la professione. Anche solo nell’ultimo anno la contrazione è stata importante: tra il 2024 e il 2023, il numero complessivo è calato di oltre 7.500 unità (-5,1%).

Non si tratta di un fenomeno limitato al Veneto: la riduzione ha interessato tutte le regioni d’Italia. Le aree più colpite nell’ultimo decennio sono state le Marche (-28,1%), l’Umbria (-26,9%), l’Abruzzo (-26,8%) e il Piemonte (-26%). Il Mezzogiorno, invece, ha registrato perdite più contenute, grazie agli investimenti nelle opere pubbliche legati al PNRR e agli effetti positivi del Superbonus 110% sul comparto casa. Questi dati emergono dall’analisi dell’Ufficio studi della CGIA, basata sui dati INPS.


Se oggi è già difficile trovare un professionista per riparare una tapparella rotta, un rubinetto che perde o sostituire l’antenna della TV, nei prossimi anni la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente. L’invecchiamento della popolazione artigiana, unito alla scarsità di giovani che si avvicinano a questi mestieri e al calo demografico, lascia prevedere che entro dieci anni reperire idraulici, fabbri, elettricisti o serramentisti sarà quasi impossibile.


Una parte della riduzione è anche riconducibile al processo di aggregazione e acquisizione che ha interessato alcuni settori dopo le grandi crisi del 2008/2009, 2012/2013 e 2020/2021. Questa “spinta” verso l’unione aziendale ha ridotto il numero complessivo degli artigiani, ma ha contribuito ad aumentare la dimensione media delle imprese e la produttività, in particolare nei comparti del trasporto merci, metalmeccanico, installazione impianti e moda.


Tra i fattori che portano alle chiusure principali figurano:

  • L’invecchiamento della popolazione artigiana e il basso ricambio generazionale;

  • La concorrenza della grande distribuzione e del commercio elettronico;

  • La burocrazia, l’aumento degli affitti e la pressione fiscale nazionale e locale.

A queste si aggiunge il cambiamento delle abitudini dei consumatori, che preferiscono prodotti standardizzati, consegnati a domicilio, a scapito di articoli su misura o fatti a mano, come calzature, vestiti o mobili.


Negli ultimi 45 anni, secondo la CGIA, il lavoro manuale ha subito una svalutazione culturale significativa. L’artigianato è stato percepito come un mondo residuale e destinato al declino. Per invertire questa tendenza, è necessario rafforzare l’orientamento scolastico, l’alternanza scuola-lavoro e il ruolo degli istituti professionali, che in passato hanno sostenuto lo sviluppo economico del Paese. Oggi questi istituti sono spesso considerati “scuole di serie B” o, in alcuni casi, “di serie C”.

Nonostante la crisi, molti imprenditori del settore segnalano difficoltà a trovare personale disposto ad avvicinarsi a questo mondo.


Non tutti i comparti artigiani soffrono allo stesso modo:

  • Benessere: crescono acconciatori, estetisti e tatuatori;

  • Informatica: in espansione sistemisti, addetti al web marketing, video maker e social media manager;

  • Alimentare: positive le performance di gelaterie, gastronomie e pizzerie per asporto, soprattutto nelle città turistiche.


Le botteghe e i piccoli negozi sono fondamentali nei centri storici e nelle comunità minori, contribuendo all’identità culturale, all’economia locale e al mantenimento del patrimonio storico. La riduzione della popolazione in molte aree del Paese ha peggiorato la situazione, riducendo il numero di botteghe e deteriorando il tessuto urbano. La CGIA propone l’istituzione di un “reddito di gestione delle botteghe artigiane” per chi apre o gestisce attività in comuni fino a 10.000 abitanti.


A quarant’anni dall’entrata in vigore della legge quadro 44371985, il Parlamento ha avviato la riforma della legge quadro sull’artigianato per superare vincoli normativi che limitano lo sviluppo di 119.400 imprese artigiane venete. Le principali novità previste includono:

  • Possibilità per le imprese alimentari di vendere direttamente al pubblico;

  • Maggiore flessibilità nella costituzione dei consorzi, anche con Pmi non artigiane;

  • Fondo biennale da 100 milioni di euro per facilitare l’accesso al credito con il supporto di Confidi e della nuova Artigiancassa;

  • Innalzamento del tetto occupazionale da 18 a 49 addetti.

I punti cardine della riforma sono:

  • Centralità della figura dell’imprenditore artigiano;

  • Rivedere i vincoli societari relativi all’impresa artigiana;

  • Definire il perimetro di attività del settore;

  • Valorizzare il ruolo formativo dell’artigiano;

  • Istituire una commissione consultiva per l’artigianato presso il Ministero del Made in Italy.


Nell’ultimo decennio, le province venete che hanno sofferto maggiormente sono:

  • Rovigo: -31,4% (-2.905 artigiani);

  • Verona: -27% (-9.726);

  • Padova: -24,3% (-9.130);

Le province con la riduzione più contenuta sono:

  • Città Metropolitana di Venezia: -20,3% (-5.552).

Nell’ultimo anno, la situazione più critica ha riguardato Treviso, con un calo del 6,1% (-1.720).

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