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SANITA'

Chirurgia oncologica, il Veneto verso la centralizzazione

Stop allo stomaco, colon solo a Mestre. Scontro nel Veneziano

Il robot chirurgo funziona alla grande

VENEZIA - Meglio pochi centri ad alto volume o una rete diffusa e vicina ai pazienti? In Veneto la partita sulla chirurgia dei tumori del colon, del retto e dello stomaco entra nel vivo, con un confronto serrato tra Regione, clinici e politica. Sullo sfondo, una riorganizzazione che punta a concentrare gli interventi dove i volumi sono più alti, come raccomandato da Agenas, ma che rischia – denunciano in molti – di lasciare scoperte le aree periferiche, a cominciare dal Veneziano.

LA NUOVA MAPPA: CHI OPERA E CHI NO
Secondo i grafici di lavoro elaborati dalla Regione in base ai requisiti fissati dai gruppi tecnici – in attesa delle direttive ufficiali dei direttori generali – lo scenario che si profila è netto: - Colon: stop a Montebelluna, Oderzo, Vittorio Veneto, Belluno e Feltre; via libera al Ca’ Foncello di Treviso e allo Iov di Castelfranco Veneto. - Retto: non più a Camposampiero, Schiavonia, Cittadella e Rovigo; gli interventi convergerebbero su Padova. - Stomaco: non più a Portogruaro, Mirano, Dolo, Venezia e Chioggia; escluso anche l’ospedale dell’Angelo di Mestre. In provincia di Venezia, quindi, nessun centro abilitato. Nel Veneziano, riferisce il Pd, per il colon l’unico sopra soglia sarebbe proprio l’ospedale dell’Angelo (Mestre), mentre per retto e stomaco i pazienti dovrebbero spostarsi a Padova o Treviso.

PERCHÉ LA REGIONE SPINGE SUI VOLUMI
Il Coordinamento regionale per le attività oncologiche richiama i riferimenti Agenas: la «frammentazione della casistica in strutture con bassi volumi di attività» è critica; le soglie minime annuali, fissate alla luce della documentata relazione tra volumi e esiti, servono a garantire più sicurezza e migliore gestione delle complicanze. I numeri, insomma, non sono un feticcio ma un indicatore di qualità clinica.

LE VOCI CRITICHE: “NON BASTANO I NUMERI”
La posizione non convince l’Associazione chirurghi ospedalieri italiani (Acoi), sostenuta dalla Società italiana di patologia dell’apparato digerente, presieduta da Salvatore Ramuscello (direttore della Chirurgia di Chioggia). Il timore: che l’aritmetica spazzi via esperienze valide e competenze territoriali. Sulla stessa linea il Partito Democratico. I consiglieri regionali Jonatan Montanariello e Francesca Zottis annunciano un’interrogazione alla giunta Zaia e scrivono alla responsabile tecnico-scientifica regionale Giovanna Scroccaro: «Sono a rappresentarle la necessità di rafforzare, anziché depotenziare, i centri periferici». Montanariello parla di «preoccupazione» per i cittadini del Veneziano, territorio «esteso e insulare», dove la conformazione lagunare rende più difficili e lenti i collegamenti, con il rischio di accentuare le disuguaglianze nell’accesso tempestivo alle cure.

LE SCADENZE E L’IPOTESI DI CORRETTIVI
I decreti del 9 luglio hanno concesso 90 giorni ai direttori generali per attestare i requisiti: manca meno di un mese alla scadenza. Il Pd chiede di inserire criteri aggiuntivi per “mitigare l’impatto”, come l’indice di mortalità e la valutazione complessiva del successo degli interventi. Dal canto suo, Scroccaro ha assicurato all’Acoi che le proposte saranno trasmesse ai gruppi di lavoro, «che restano disponibili ad un eventuale confronto». Un segnale di apertura che potrebbe tradursi in un’ulteriore rifinitura delle regole.

IL NODO RISORSE E L’EQUITÀ DI ACCESSO
Anche ammesso che la centralizzazione migliori gli esiti, resta una domanda scomoda: con quali risorse i grandi centri “promossi” assorbiranno la mole aggiuntiva di casi? Sale operatorie, letti, personale, percorsi di presa in carico e riabilitazione dovranno essere potenziati per evitare liste d’attesa eccessive. Altrimenti il rischio è duplice: sovraccaricare Treviso, Padova e Castelfranco e, allo stesso tempo, desertificare clinicamente le aree periferiche. Per il Veneziano il tema è ancora più sensibile: senza un presidio chirurgico per lo stomaco e con il retto destinato fuori provincia, gli spostamenti diventano la norma. Prossimità, continuità assistenziale e tempi di intervento adeguati – argomenta il fronte critico – non possono essere considerati variabili secondarie nella pianificazione.

UNA SCELTA DA CALIBRARE SUI DATI (TUTTI)
La relazione tra volume e qualità esiste e va perseguita; ma – sostengono chirurghi e amministratori locali – la qualità non è solo volume. Indicatori di esito, mortalità, reinterventi, complicanze, aderenza ai percorsi multidisciplinari e alle linee guida, tempi di diagnosi-cura e accessibilità territoriale compongono un cruscotto più completo per autorizzare (o meno) i centri. La sfida, ora, è bilanciare evidenze cliniche e geografia dei bisogni, evitando che la cura migliore sia anche, paradossalmente, la più difficile da raggiungere.

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