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Cavarzere

Tagliati: non una foiba, ma un eccidio

La storia della resa della compagnia “Concordia Sagittaria” che si trasformò in un massacro

Tagliati: non una foiba, ma eccidio

Il figlio Giancarlo ricostruisce la sorte del padre, caduto durante un’operazione militare a marzo 1945

CAVARZERE – Non infoibato, ma vittima di un’operazione militare, conclusasi in un eccidio nel cuore delle montagne del Cansiglio. Giancarlo Tagliati ha voluto precisare la vera sorte del padre, Antonio Tagliati (nato a Cavarzere il 15 ottobre del 1906 e deceduto  il 22 marzo del 1945), dopo che, nel corso della cerimonia di intitolazione del nuovo parco pubblico cittadino, il suo nome era stato erroneamente inserito tra quello delle vittime delle foibe. “Non so da quale fonte provenga tale notizia, del tutto falsa e priva di alcun riscontro – spiega Giancarlo Tagliati –. Posso affermare con assoluta certezza che mio padre è stato considerato, per lunghissimi anni, disperso in guerra. Solo in tempi recenti e dopo una lunga e penosa ricerca, sono riuscito a stabilire quale fu la sua sorte durante un’operazione militare in Pian del Cansiglio”.

Secondo la ricostruzione storica, Tagliati apparteneva alla Compagnia Concordia Sagittaria, reparto del 4º Battaglione della Polizia Italiana, con comando a Treviso e dipendenza operativa dalle SS tedesche per il controllo delle retrovie. La compagnia, composta da circa 85 uomini – molti dei quali ex internati militari italiani rimpatriati dalla Germania – il 19 marzo 1945 ricevette l’ordine di spostarsi a Valsalega, nel comune di Sarmede, al confine meridionale del bosco del Cansiglio. Il giorno successivo, mentre il comandante era assente, il vice tenente Sandro Ivaldi decise di trattare la resa con formazioni partigiane locali. Ma un improvviso scontro a fuoco con alcune guide tedesche degenerò in un conflitto che costò la vita a sette uomini. Il resto del reparto, circa 65 militari, fu catturato e consegnato alla Brigata “Fratelli Bandiera” del Partito d’Azione. Il 22 marzo 1945 furono fucilati nei pressi di Malga Venal, i corpi gettati in calchère e ricoperti di calce viva per impedirne l’identificazione. I resti di alcuni di loro furono riesumati soltanto nel 1950 e sepolti nel cimitero di Lamosano.

Ma la vicenda di Antonio Tagliati è anche una storia di scelte personali e di umanità travolta dalla guerra. Come racconta il figlio Giancarlo, “dopo l’8 settembre mio padre fu fatto prigioniero dai tedeschi nei pressi di Belgrado e deportato in Germania. Trascorsi pochi mesi accettò di aderire alla RSI solo per poter tornare in Italia. Rientrò il 4 febbraio 1944 e si arruolò nella Freiwilligen Bataillon Italien, 4ª compagnia, 3º battaglione. Da una lettera da poco ritrovata, risultava in servizio a Chions il 12 marzo 1944”.

Nella primavera dello stesso anno, racconta ancora il figlio, Antonio tornò a casa in licenza e decise di non rientrare più al comando, nascondendosi con la famiglia presso una zia a Ca’ Labia, dopo che la loro abitazione al Canae era stata distrutta da un bombardamento. “Fu dichiarato disertore – prosegue Giancarlo – e la polizia tedesca, insieme ai fascisti, si mise sulle sue tracce. Quando i militi scoprirono il suo rifugio, mio padre riuscì a fuggire, ma dimenticò la giubba militare. Quella fu la prova della sua presenza. Minacciarono di fucilare i parenti se non si fosse consegnato, così decise di tornare nei ranghi”.

Da quel momento, di Antonio Tagliati si persero le tracce. “Io avevo appena due anni – racconta il figlio – e non ho ricordi diretti. Mia madre lo cercò per anni, senza mai ricevere notizie. Morì portando con sé la speranza di ritrovarlo”.

Solo decenni dopo, grazie a ricerche personali e alla collaborazione di archivi e associazioni, Giancarlo è riuscito a ricostruire la vicenda fino a ottenere, nel 2009, una conferma definitiva. “Prendere in mano queste vicende – conclude – non è stato solo un lavoro di memoria, ma un modo per restituire dignità a mio padre e onorare la sofferenza di mia madre e dei miei nonni, che non poterono mai deporre un fiore sulla sua tomba”.

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