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Turetta: due anni di indagini e udienze

Dalla notte delle telecamere ai verdetti: la ricostruzione essenziale, passo dopo passo, fino alla condanna definitiva

Turetta, arriva l'ergastolo

Filippo Turetta, davanti alla Corte d'Assise di Venezia

VENEZIA - Alle 23:18 dell’ 11 novembre 2023, in un parcheggio di Vigonovo, qualcuno chiama il 112: urla, un corpo a terra, un’auto nera che riparte di corsa. È la prima tessera di un mosaico che, in due anni, porterà all’ergastolo di Filippo Turetta per l’omicidio di Giulia Cecchettin, e a una decisione d’appello arrivata in modo quasi paradossale: gli appelli rinunciati, dichiarati inammissibili, e la conferma della massima pena. Una cronologia serrata, fatta di telecamere, perizie, “motivazioni” discusse e scelte processuali che hanno compresso i tempi del dibattimento, fino al sigillo della Corte d’assise d’appello di Venezia il 14 novembre 2025.

La scomparsa e la settimana che cambiò l’Italia

  • La sera di sabato 11 novembre 2023 Giulia esce con l’ex fidanzato Filippo Turetta: ritiro di un abito per la laurea al centro commerciale di Marghera, poi il ritorno verso casa. Le telecamere segnano le 23:08 quando la Fiat Punto nera entra a Vigonovo; pochi minuti dopo, nel parcheggio vicino a casa Cecchettin, la prima aggressione. La ricostruzione del GIP di Venezia parlerà di un attacco “in due fasi”: la prima a Vigonovo, la seconda nella zona industriale di Fossò, con un’azione che durerà circa 20 minuti e si concluderà con 75 coltellate. Alle 23:47 inizia la fuga.
  • Per una settimana l’Italia trattiene il fiato. Il 18 novembre 2023 il corpo di Giulia viene trovato in un canalone vicino al lago di Barcis (Pordenone), in Friuli Venezia Giulia. È la svolta nelle ricerche.
  • Poche ore dopo, in Germania, lungo l’A9 nei pressi di Lipsia, la polizia ferma Turetta: la fuga finisce a più di 1.000 chilometri da casa. L’arresto è immediato.

L’arresto, l’estradizione, il carcere

  • Dopo l’arresto in Germania, Turetta accetta l’estradizione. Il 25 novembre 2023 atterra a Venezia e viene trasferito al carcere di Montorio (Verona), dove resterà detenuto. Il suo arrivo in istituto viene documentato dai media.
  • Nei primi mesi di detenzione è collocato tra i “protetti”; poi, a inizio marzo 2025, il trasferimento tra i detenuti comuni viene segnalato dall’ANSA. La difesa chiede particolare attenzione alle condizioni di sicurezza, in vista del deposito delle motivazioni di primo grado.

L’apertura del processo e il “format” accelerato

  • La difesa rinuncia all’udienza preliminare e opta per il giudizio immediato, scelta che spinge verso un processo “lampo”. La prima udienza in Corte d’Assise di Venezia si tiene il 23 settembre 2024; l’aula è piccola, accesso limitato, telecamere autorizzate solo alla Rai. Turetta inizialmente non è presente, ma viene fissato l’esame dell’imputato per 25 e 28 ottobre, discussioni il 25-26 novembre e possibile verdetto il 3 dicembre 2024. Presidente del collegio Stefano Manduzio, giudice a latere Francesca Zancan.

Il primo verdetto: ergastolo

  • Il 3 dicembre 2024 la Corte d’Assise di Venezia condanna Filippo Turetta all’ergastolo. Riconosciute le aggravanti di premeditazione, sequestro di persona e occultamento di cadavere; escluse invece crudeltà e stalking. La sentenza cristallizza la dinamica omicidiaria e rigetta attenuanti generiche, sottolineando “motivi vili e spregevoli” legati all’intolleranza verso l’autonomia di Giulia.

Le “motivazioni” che fanno discutere

  • L’8 aprile 2025 vengono depositate le 145 pagine di motivazioni. I giudici spiegano perché le 75 coltellate non integrino, di per sé, l’aggravante di crudeltà: non “sadismo”, ma “inesperienza” e “inabilità” nel colpire in modo “più rapido e ‘pulito’”. Quanto allo stalking, la Corte ritiene non sussistenti gli elementi nei limiti temporali contestati. Le parole accendono il dibattito pubblico e politico, ma fotografano l’impianto giuridico su cui si regge il primo grado.

Gli appelli incrociati: Procura e difesa, poi la rinuncia

  • Il 21 maggio 2025 la Procura di Venezia impugna la sentenza di primo grado chiedendo il riconoscimento delle aggravanti escluse, in particolare crudeltà e stalking. La tesi accusatoria richiama la durata dell’aggressione (circa 20 minuti) e la mole ossessiva di contatti e messaggi: fino a circa 300 al giorno, per un totale stimato di oltre 225.000 interazioni sui telefoni.
  • Anche la difesa prepara l’appello, puntando a far cadere la premeditazione — il pilastro che regge l’ergastolo — in vista del dibattimento di novembre 2025 in Corte d’assise d’appello (aula bunker di Mestre).
  • La svolta arriva in autunno: il 14 ottobre 2025 Turetta comunica, tramite i suoi legali, la rinuncia all’appello. Nelle cronache di agenzia viene citata una lettera con espressioni di “sincero pentimento”. La Procura generale rinuncia a sua volta. Si configura così un appello “senza appelli”: il doppio ricorso viene meno ancor prima della discussione.

Il 14 novembre 2025: ergastolo confermato

  • Il 14 novembre 2025 la Corte d’assise d’appello di Venezia dichiara gli appelli “inammissibili per intervenuta rinuncia” e, di conseguenza, conferma l’ergastolo con l’aggravante della premeditazione. In aula — presiede il giudice Michele Medici — si registra l’assenza dei difensori storici di Turetta, Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, sostituiti da colleghi di studio. È una situazione definita “singolare” dallo stesso presidente aprendo l’udienza. La condanna è definitiva: i termini per la Cassazione non avranno più effetto, alla luce della rinuncia.

Che cosa resta nella memoria delle carte

La forza di questo caso sta anche nella traccia lasciata dalle fonti oggettive: telecamere, tracciati, orari, percorsi. Nelle settimane successive al delitto, gli atti sottolineano come l’azione sia maturata dentro un clima di controllo ossessivo dell’imputato verso Giulia: la Procura quantifica fino a circa 300 messaggi al giorno e oltre 225.000 interazioni complessive, elementi portati in appello per sostenere l’aggravante di stalking. Il primo grado non la riconosce, legandola a un perimetro temporale specifico e alla definizione giurisprudenziale dell’aggravante. La scelta di escludere la crudeltà — pur a fronte di 75 colpi — nasce dalla lettura per cui la reiterazione non prova automaticamente l’intento di “far soffrire”, ma la inabilità dell’autore a colpire in modo “efficace”. La premeditazione, invece, resta la chiave di volta della condanna all’ergastolo.

Le persone, le istituzioni, i luoghi

Questa vicenda è passata attraverso aule piccole e affollate, e dentro una bolla mediatica che la difesa ha cercato di disinnescare con un profilo basso: niente perizia psichiatrica, poche testimonianze, rito immediato. La Corte d’Assise di Venezia del primo grado — presieduta da Stefano Manduzio con giudice a latere Francesca Zancan — ha scandito un calendario compatto; la Corte d’assise d’appello di Venezia, presieduta dal giudice Michele Medici, ha infine preso atto delle rinunce e chiuso il caso. Nel mezzo, le voci della famiglia: Gino ed Elena Cecchettin, presenze silenziose e assidue in aula e nella memoria pubblica, fino al sospiro di sollievo per la parola “definitivo”.

Dalla cronaca alla coscienza civile

Il delitto di Giulia Cecchettin è stato richiamo collettivo contro i femminicidi, tema che la cronaca ha trasformato in agenda civile: a Padova, a due anni dalla morte, cortei e flash mob con chiavi agitate, panchine rosse, minuti di silenzio nelle aule dell’Università di Padova dove Giulia sognava la laurea in ingegneria biomedica. Lì il suo volto continua a restare appeso a una parete, come promemoria e promessa.

Un epilogo “anomalo” e ciò che insegna

È raro che un processo così esposto si chiuda in appello per “inammissibilità per rinuncia”: di solito la sede di secondo grado è terreno di aspri contrasti, nuovi periti, nuove letture. Qui, invece, le rinunce reciproche hanno sterilizzato lo scontro finale: la difesa ha scelto di non insistere contro la premeditazione; la Procura ha rinunciato a riproporre crudeltà e stalking. La fotografia che rimane è quella di un ergastolo fondato su fatti ricostruiti con puntualità (gli orari, i video, il tracciamento), su un’azione riconosciuta premeditata, e sul travaso — destinato a restare nelle scuole, nelle piazze, nelle università — di parole come consenso, autonomia, libertà. Di fronte alla cronologia di questi due anni, le carte giudiziarie suonano, a loro modo, come un monito: la prevenzione si gioca ben prima dei processi, laddove i segnali di controllo e ossessione prendono forma.

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