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Elezioni Regionali
23.11.2025 - 15:56
VENEZIA - Primo rilevamento dei votanti, quello delle 12, per le elezioni regionali del Veneto e si scopre un crollo di quasi 5 punti percentuali rispetto al 2020. A livello regionale la media è del 10,10% contro il 14,74% del 2020. La provincia dove si è andato a votare di più è Padova con quasi l'11%, la peggiore Belluno con circa l'8%. A Venezia il 10,23% contro il 15,27% del 2020.
Tra le 7 e le 23 di domenica 23 novembre e tra le 7 e le 15 di lunedì 24, più di 4 milioni di cittadini del Veneto attraverseranno un seggio per scegliere chi prenderà il posto di Luca Zaia e quali forze occuperanno i 51 seggi del Consiglio regionale. Ma il voto non è solo un passaggio di consegne: è un test di tenuta per il centrodestra, un termometro della rivalità tra Lega e Fratelli d’Italia e un referendum soft sull’eredità politica di un presidente rimasto al vertice per 15 anni. Il Veneto, laboratorio e bastione del centrodestra da tre decenni, torna a parlare al Paese. E spesso, quando qui il quadro cambia, altrove prima o poi arriva l’eco.
La scheda elettorale veneta racchiude tre partite.
Il Veneto è governato dal centrodestra ininterrottamente da 30 anni. Dal 1995 al 2010 ha guidato Giancarlo Galan (Forza Italia), poi dal 2010 al 2025 Luca Zaia (Lega). Quindici anni a testa: stessa coalizione, due leadership molto diverse. La stagione di Galan ha coinciso con la costruzione del brand Forza Italia nel Nord-Est e la spinta infrastrutturale; quella di Zaia con il radicamento territoriale della Lega veneta, la stagione dell’autonomia differenziata come orizzonte identitario e la gestione dell’emergenza Covid che ne ha consolidato il consenso. Oggi la staffetta si ripete, ma con un equilibrio interno mutato: FdI chiede da tempo più peso nei governi regionali del Nord; la Lega rivendica la “paternità” amministrativa del Veneto. Questa tensione spiega perché il voto di lista sia, per entrambi, un test cruciale.
Al netto delle regole, la campagna non ha avuto un “incumbent” in campo. Ma il peso di Zaia è stato avvertibile in ogni provincia. I sondaggi segnalano come il “marchio Zaia” continui a essere un moltiplicatore di consenso per il centrodestra e, in particolare, per la Lega, che solo pochi mesi fa—alle Europee—in Veneto non brillava. Nell’ultimo Ipsos per il Corriere, Lega e FdI sono praticamente appaiate, con un’indicazione chiara: il voto alla Lega cresce dove Zaia è più esposto sul territorio e dove la lista personale o la scelta del governatore come capolista ha attivato reti civiche. È la prosecuzione di una traiettoria iniziata nel 2020, quando la lista Zaia superò da sola il 44%, presentandosi come “partito del presidente”. Replicare quel risultato è impossibile senza Zaia candidato, ma l’inerzia resta.
Il premio di maggioranza garantisce stabilità alla coalizione vincente, di norma oltre il 60% dei seggi utili. Significa che un governatore sopra il 40% consolida una solida base consiliare. In questo contesto, gli equilibri interni si regolano con la spartizione assessorile e la presidenza del Consiglio regionale. Da qui il significato del voto di lista: non è solo un derby identitario; è la bussola che orienterà le deleghe chiave—sanità, bilancio, infrastrutture, sviluppo economico.
Guardando indietro, la fotografia è nitida. Dal 1995 al 2010 la stagione azzurra di Giancarlo Galan, tre mandati consecutivi, ha ancorato il Veneto all’asse Forza Italia–centrodestra nazionale dei governi Berlusconi. Dal 2010 in poi, la leadership territoriale si è spostata verso la Lega, che con Zaia ha saputo trasformare l’identità autonomista in proposta di governo pragmatico, legando l’istanza di autonomia a un racconto di qualità amministrativa. In mezzo, i paradossi: una regione locomotiva che ha visto crescere in modo costante gli iscritti all’AIRE (oltre 500 mila, circa il 12% del corpo elettorale totale) e che, al tempo stesso, ha mantenuto standard elevati in molti indicatori socioeconomici. Il quadro demografico, infine, pesa: donne al 50,9% del corpo elettorale; neodiciottenni al primo voto regionale oltre 250 mila.
Alle regionali 2020, il Veneto consegnò a Zaia un record storico: 1.883.960 voti personali e 76,79% dei consensi, con un’affluenza al 61,15% su 4.126.114 elettori. Allora il contesto era eccezionale—pandemia e gestione dell’emergenza in primo piano. Oggi lo scenario è più “normale”, ma la cifra di quell’elezione resta la misura della profondità del legame fra il presidente uscente e il suo elettorato. Capire quanto di quella fiducia si trasferirà al successore è uno dei temi politici centrali di questo voto.
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