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11.12.2025 - 16:47
VENEZIA - La stagione influenzale è arrivata prima del previsto. Annunciata e attesa, ha esordito con quattro settimane di anticipo rispetto al consueto, confermando le previsioni dell’Oms per la Regione europea che segnalano una circolazione già sostenuta dei principali virus respiratori in Italia e nel resto del continente, con un picco atteso tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio. A farne le spese, in questi giorni, soprattutto bambini e adolescenti, colpiti dai classici sintomi: febbre alta per quattro o cinque giorni, spesso fino a 39-40 gradi, spossatezza, dolori muscolari e disturbi respiratori.
«La febbre è un sintomo che allarma sempre i genitori, soprattutto quando è molto alta e prolungata», spiega Valentina Grimaldi, pediatra di famiglia, psicoterapeuta e coordinatrice della Commissione età evolutiva dell’Omceo Roma. «È importante rassicurare le famiglie e dare indicazioni corrette su come gestirla». L’uso degli antipiretici, ricorda la pediatra, può far scendere la temperatura di un grado o un grado e mezzo, ma non eliminarla. Tra le paure più frequenti dei genitori ci sono le convulsioni febbrili, evento possibile nei bambini sotto i 6 anni predisposti. «Sono un fenomeno benigno che si risolve senza esiti anche se spaventa molto», precisa.
Grimaldi ribadisce che è ancora possibile vaccinarsi, sottolineando che la campagna è in corso: «Il vaccino è un’arma importantissima per combattere i virus. Mantiene l’organismo allenato a rispondere agli attacchi esterni».
Il tema della gestione della febbre e del dolore, tra i motivi più comuni di consulto pediatrico, è stato al centro del convegno “Dalla Comunicazione all’Appropriatezza in Pediatria: Focus su Dolore e Febbre”, tenutosi in Senato su iniziativa del senatore Ignazio Zullo e a cui la pediatra ha partecipato portando il punto di vista del medico di famiglia. «La febbre è nella maggior parte dei casi causata da infezioni virali che si risolvono spontaneamente, ma può essere sostenuta da malattie batteriche che richiedono terapie mirate o essere sintomo di condizioni più importanti», afferma.
Fondamentale, secondo Grimaldi, è insegnare ai genitori a valutare lo stato generale del bambino più che la cifra del termometro: «Spesso ci vengono riferiti bambini con 39 di febbre che però giocano e ridono. In questi casi non c’è da preoccuparsi, basta idratarli, offrire pasti leggeri, evitare abbigliamento pesante, aerare gli ambienti e usare antipiretici per alleviare i fastidi come mialgie o mal di testa».
Quando preoccuparsi, allora? «Quando, al di là della temperatura, il bambino è molto abbattuto, sofferente, sonnolento, risponde poco agli stimoli, non gioca, non beve e non mangia. E se dopo l’antipiretico non migliorano le condizioni. Nei primi tre mesi di vita, invece, ogni episodio di febbre va sempre valutato dal pediatra».
Per evitare che i genitori si trovino impreparati, la pediatra suggerisce di introdurre il tema già dalle prime visite, soprattutto quando si parla di vaccinazioni, momento in cui non sono rari episodi febbrili o dolori che possono far sperimentare al neonato pianti inconsolabili: «Insegnare a riconoscere i segnali e usare l’antipiretico con azione analgesica è molto importante. Ma serve ripetere più volte queste informazioni perché il genitore acquisisca competenza».
Uno dei problemi più diffusi, conclude Grimaldi, è la cosiddetta “fever phobia”: «Alcuni genitori misurano la temperatura in modo compulsivo o pretendono che l’antipiretico azzeri la febbre, temendo danni gravi. L’uso eccessivo di farmaci può diventare più pericoloso della febbre stessa. Una comunicazione efficace è fondamentale per l’appropriatezza terapeutica e per tranquillizzare famiglie e bambini, dando il giusto peso alle cose».
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